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I commi 8 e 9 dell’art. 3, del D.Lgs. 14-3-2011 n. 23, in un’ottica di lotta senza quartiere alle locazioni “in nero”, con riguardo:

  • ai contratti di locazione degli immobili ad uso abitativo, non registrati entro il termine stabilito dalla legge,
  • ai contratti di locazione degli immobili ad uso abitativo, relativamente ai quali nel contratto di locazione registrato sia stato indicato un importo inferiore (anche di pochi euro!) a quello effettivo,
  • ai contratti di comodato fittizio,

prevedono (o, meglio, prevedevano) che:

  1. la durata della locazione è stabilita in quattro anni a decorrere dalla data della registrazione, volontaria o d'ufficio;
  2. al rinnovo si applica la disciplina del rinnovo pressoché automatico di altri quattro anni;
  3. a decorrere dalla registrazione il canone annuo di locazione è fissato in misura pari al triplo della rendita catastale.

In pratica, sulla base delle norme citate, l’inquilino che avesse “denunciato” al Fisco i canoni di locazione corrisposti in nero, avrebbe conseguito un vantaggio formidabile ed ingiusto: la possibilità di occupare l’immobile pagando al locatore un affitto irrisorio, pari a tre volte la rendita catastale! Per esempio, ipotizzando una rendita catastale dell’immobile locato di 600 euro, l’inquilino che avesse denunciato il proprietario si sarebbe assicurato la possibilità di utilizzare l’immobile corrispondendo un canone annuo di soli 1.800 euro (euro 150 mensili).

Con la sentenza 50/2014, depositata il 14 marzo 2014, la Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionali le disposizioni in commento, non perché le stesse siano incompatibili con uno Stato di diritto, ma (solo) per “eccesso di delega” rispetto alle disposizioni della legge 5 maggio 2009, n. 42, recante «Delega al Governo in materia di federalismo fiscale”.

Il testo della sentenza è disponibile sul sito http://www.cortecostituzionale.it/default.do

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